L'industria 4.0 distrugge posti di lavoro?

Non elimina i posti ma ne modificherà sicuramente la composizione: Intervista a Serena Sileoni

1 Febbraio 2017

Italia Oggi

Argomenti / Teoria e scienze sociali

«La quarta rivoluzione industriale potrebbe anche far crescere, e non ridurre, i posti di lavoro: è vero, potrebbe». Serena Sileoni, vicedirettore dell’Istituto Bruno Leoni, cioè della roccaforte italiana del pensiero economico liberista, vuole stonare nel coro degli apprensivi, di tutti coloro che nell’in- dustria come nel mondo accademico accreditano un’equazione da brivido: più robot, meno operai nell’industria 4.0. E commenta la soprendente dichiarazione di un industriale classico come Franco Gussalli Beretta, che invece, in una recente intervista all’Agi, ha dichiarato: «Sono ottimista di natura e penso che la rivoluzione industriale detta Industry 4.0 non soppianterà il lavoro umano: indurrà í lavoratori a riqualificarsi su livelli professionali più alti, ma il saldo finale tra posti distrutti e posti creati potrebbe essere ancora una volta positivo. Da un lato ci sarà più automazione, dall’altro serviranno molti più tecnici digitali, programmatori, esperti d’informatica».

Domanda. Professoressa Sileoni, Beretta ha ragione?
Risposta. Beretta ha espresso un concetto giusto: non è detto che ci sia un saldo occupazionale negativo con l’Industry 4.0, nessuno lo può sapere, soprattutto perchè si parla d’innovazione, nel senso più ampio possibile. Nell’era del progresso digitale, si possono fare previsioni a breve termine, a un anno. Quelle a lungo termine no. Negli Anni Novanta ricorda il film 2001, Odissea nello spazio? eravamo convinti che il futuro sarebbe stato la colonizzazione dell’universo, ma sbagliavamo: il futuro è stato internet. Quindi dove andrà il futuro del lavoro non lo possiamo sapere, però sappiamo che il futuro non lo fermiamo».

D. Quindi, da brava economista liberista, lei dice: non disturbiamo il corso naturale del mercato?
R. Non sono un’economista: sono laureata in giurisprudenza. Ma credo che arginare il progresso con le trincee, i sacchi di farina ammassati alle finestre, le leggi, le norme non abbia senso. È un assurdo soltanto pensare che l’innovazione vada contrastata perché minaccia di bruciare posti dí lavoro. Io non arrivo a dire che non sarà così, affermo invece che, per ora, l’innovazione sta eliminando i lavori pesanti, faticosi e ripetitivi, e creando nuovi lavori intellettuali, come la programmazione e la gestione dei robot. Appaganti e meno faticosi. Regalando alla gente più tempo libero. Non so quanti posti di lavoro in meno siano stati determinati e quanti nuovi, so che però facciamo lavori migliori.

D. Già: ma se si dovessero bruciare molti posti, chi mai avrebbe il reddito necessario per acquistare i prodotti realizzati dai robot?
R. Allora forse si produrrà di meno. Il mercato ha i suoi sistemi di compensazione. Con l’automazione il produttore non ha più problemi dì sovrapproduzione…

D. Comunque bisognerà riconvertire i posti perduti con più formazione professionale.

R. Sì, questo è un tema scottante, ma io so che l’offerta di formazione si modula in base alla domanda. Il problema semmai si pone quando la formazione è costretta a seguire linee guida di ministeri sistematicamente in ritardo rispetto alla realtà. E quando l’offerta formativa è in mano ai monopoli, è sempre inadeguata. Un’offerta formativa aperta invece si adegua alla domanda.

D. E il problema della riconversione dei lavoratori non più giovani, che pure Beretta segnalava?
R. È un problema effettivo ma in Italia mi preoccupa meno, da noi è ben più grave il problema della disoccupazione giovanile. Anche con l’ultima riforma del mercato del lavoro è più facile ricollocare lavoratori maturi, senior, che creare occupazione giovanile.

D. Una sua autorevole collega economista, Mariana Mazzuccato, sostiene che tutte le grandi innovazioni sono state rese possibili dalla ricerca statale. Che ne pensa?
R. Che sbaglia. Individua erroneamente un nesso causale dietro fenomeni che sono stati solo successivi, non collegati. E’ vero che Internet è stata sviluppata in origine nell’esercito, ma non è vero che Google sia nata per questo.

D. L’economista Jerry Kaplan ha scritto un saggio su «Lavoro e ricchezza nell’epoca dell’intelligenza articiale» in cui afferma che «il mercato del lavoro non si aggiusterà da solo e auspica che gli esseri umani tengano fermamente le mani sul timone del progresso». Che ne pensa?
R. Sono d’accordo se parliamo al plurale: tenere le mani sui timoni del progresso mi sta bene, significa che molti essere umani gestiscono molti filoni di progresso, Al singolare invece mi spaventa: voglio capire di chi sono le mani e qual è questo timone. Se c’è una sola mano su un solo timone, e magari sbaglia, il suo diventa un errore pericolosissimo per tutti. Il progresso dev’essere pluralista. Un errore è positivo quando c’è la possibilità di emendarsi, e ciò accade quando coesistono vari timoni nell’indirizzare il processo, per questo il sistema dev’essere plurale.

D. Il rapporto Oxfam punta il dito sulla crescente disuguaglianza del mondo. Che ne pensa?
R. Che il rapporto elabora male dati corretti. Confonde patrimonio e debiti. E ingigantisce il numero dei poveri: le statistiche dimostrano invece che è drasticamente diminuito, negli ultimi anni di progresso mondiale, come ha ben argomentato il collega Carlo Stagnaro in un suo recente scritto».

D. Però se 9 persone sono ricche a migliaia di miliardi di dollari c’è qualcosa che non va. Per esempio in termini di vigilanza antitrust?
R Forse, ma non è meno grave il pericolo di eccessi ed errori nell’attività Antitrust. Si rischia di cristallizzare situazioni in un senso o nell’altro. Armi fa, l’Unione europea sanzionò il colosso Microsoft. Che è poi stato surclassato da Apple e Google. A pretendere di sistematizzare simili problemi ci si spacca la testa…

D. Concludiamo su un fatto concreto. Il piano Calenda: incentivi fiscali statali. Le piacciono?
R. Per essere un piano di intervento fiscale ha anche un’anima molto industriale che…sì, mi piace. Ha la giusta prospettiva che non è affatto scontata, ed è diversa da quella della generalità e dell’astrattezza. Poi non si focalizza su singoli settori e non discrimina tra Nord e Sud. Quindi mi piace. Sostiene chi fa, non è assistenziale».

Da Italia Oggi, 1 febbraio 2017

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