A disporre di una ricchezza netta superiore ai 500 mila euro è poco meno del 10% delle famiglie italiane alla quale fa capo, euro più euro meno, il 45% della ricchezza netta complessiva. Ovviamente, si tratta in larga misura di cittadini ultracinquantenni e laureati. Parliamo di imprenditori, professionisti, lavoratori autonomi ma anche di pensionati residenti, prevalentemente, nelle grandi città centro-settentrionali. Data una ricchezza netta di circa 10 mila miliardi di euro, la base imponibile si aggirerebbe intorno ai 4,5 mila miliardi di euro. Una patrimoniale come quella ipotizzata nell’ormai famoso emendamento Fratoianni – con aliquote crescenti dallo 0,2% al 2% al crescere della ricchezza netta – porterebbe ad un gettito non lontano da quello dell’IMU che, se abbiamo ben capito, verrebbe abolita. Quindi i numeri tornano.
Quel che non torna è tutto il resto. L’imposta patrimoniale proposta nell’emendamento Fratoianni è ovviamente leggibile come una imposta sui rendimenti del patrimonio stesso. O meglio, come una sovraimposta, sui rendimenti dello stesso. Per quanto se ne sa gli estensori dell’emendamento non prevedono, infatti, di abolire anche le imposte – per lo più sostitutive – oggi gravanti sui redditi delle attività immobiliari e mobiliari (e, del resto, se lo avessero previsto avrebbero dovuto forse più che raddoppiare le aliquote della loro patrimoniale). Di conseguenza, quei redditi sarebbero tassati due volte. Una prima volta attraverso le tante sostitutive di cui è disseminato il nostro sistema fiscale ed una seconda per via dell’imposta Fratoianni. Ma quanto sarebbero tassati? Beh, anche in questo caso il calcolo è semplice. Una aliquota che va dallo 0,2% al 2% sulla ricchezza netta delle famiglie (non crediamo si parli di imprese) corrisponde – a spanne – ad una aliquota che passa dal 5%-10% al 50% e più (anche al 100%!) sul rendimento di quella ricchezza. Per intendersi potrebbe trattarsi di un aliquota al 100% per una ricchezza netta detenuta in titoli di Stato (o questi sarebbero esenti? potrebbe il Tesoro permettersi una tassazione dei rendimenti dei titoli di Stato con queste caratteristiche?) e di una aliquota del 30%-40% se si tratta di immobili ad uso abitazione. Come giustificare aliquote prossime ad essere espropriative? Come giustificare la diversità di trattamento fra diverse tipologie di redditi e di contribuenti a parità di base imponibile?
E’ abbastanza chiaro che per i firmatari dell’emendamento si tratta di domande tutto sommato secondarie. Minori rispetto all’obiettivo di fondo: introdurre una marcata progressività nella parte finale della curva dell’Irpef. Oggi l’Irpef è solo moderatamente crescente per redditi superiori ai 75-90 mila euro. Quel che l’emendamento vuole ottenere è una progressività addizionale sui queste fasce di reddito che – si noti – già oggi pagano la gran parte dell’Irpef e hanno una aliquota marginale al 43%. Ma allora perché non rivedere direttamente la curva delle aliquote Irpef? Perché non ridisegnare il sistema delle imposte sostitutive? E se alle imposte sostitutive sui redditi da capitale ci siamo arrivati perché i capitali sono mobili, pensiamo forse che parlare di imposta patrimoniale li renda meno mobili? O li renda meno suscettibili ad assumere forme che li proteggano dall’imposizione?
L’emendamento Fratoianni non è – come avrebbe potuto essere – un tassello di un disegno (non condivisibile, ma legittimo) di politica tributaria ma piuttosto l’ennesima puntata del serial demagogico al quale assistiamo da anni. Emendamenti come questi sono esattamente il motivo per cui il legislatore costituzionale ha escluso che potessero essere tenuti referendum in materia fiscale. Perché non c’è nulla di più facile che far balenare alla grande maggioranza dei cittadini la possibilità di arrotondare le loro entrate a spese di una minoranza.
Più in generale l’imposta Fratoianni è l’espressione di una politica che – avendo perso la partita della crescita senza mai combatterla – altro non può e non sa fare se non redistribuire quel poco che ormai rimane. E’ una proposta che non andrà lontano, ma è bene non illudersi, rimarrà sullo sfondo perché quando i soldi serviranno davvero – ed è un momento che prima o poi arriverà – quella politica non saprà pensare ad altro.
1 dicembre 2020