Se lo Stato imprenditore mette troppe condizioni

Nella legge che offre sussidi alle aziende Usa per produrre microchip in patria una fitta lista di vincoli «sociali»

24 Aprile 2023

L'Economia – Corriere della Sera

Alberto Mingardi

Direttore Generale

Argomenti / Economia e Mercato

Quanto durerà la passione degli americani per la politica industriale? Era stato Trump a giocare la carta dei timori geopolitici, per orientare le produzioni (a cominciare dal procurement pubblico: buy American) secondo logiche extra-economiche. Biden ci ha messo il carico da novanta, convinto che anche gli Usa debbano diventare sempre più uno Stato imprenditore. Entrambe le amministrazioni sono state fiancheggiate da opinion maker molto favorevoli all’ampliamento del perimetro pubblico. Il fronte dei sostenitori della politica industriale made in Usa mostra però alcune crepe. Non sono intellettuali che hanno rivisto le proprie posizioni teoriche quanto figure che cominciano a fare i conti con le conseguenze di tali posizioni.

Ezra Klein, cofondatore di Vox ed editorialista del New York Times, in un suo articolo è tornato sul tema del Chips Act. Con quel provvedimento, gli Stati Uniti hanno cercato di fronteggiare un problema contingente, uno iato fra domanda e offerta di semiconduttori che era la conseguenza della riallocazione di risorse durante la crisi Covid, sussidiando la produzione nazionale: facendo della questione una priorità geopolitica, nel tentativo di recuperare un primato perso da tempo (non si chiama Silicon Valley per nulla). Lo scettico liberista sorride. Se c’è una cosa che le imprese private sono capaci di fare, è recuperare capacità produttiva quando cresce la domanda (più difficile è semmai spostarla quando la domanda langue). Non si potrebbe lasciar loro fare almeno le cose che è acclarato che sappiano fare?

Il pensoso statalista replica che il liberista non sa di che parla, la geopolitica dei semiconduttori (qualsiasi cosa significhi) segnerà il futuro del mondo, bisogna assolutamente produrne del tipo più avanzato anche in posti che non siano Taiwan, sai mai che la Cina l’invada (e, per farlo, bombarderebbe le fabbriche di microchip?).

Klein è uno statalista pensoso e fiero di esserlo, ma sa anche leggere. Così, scorrendo il Chips and Science Act scopre che «il governo federale elargisce sussidi con una mano e accumula mandati e requisiti con l’altra». Dal momento che chi piglia la moneta del re canta la canzone del re, obbliga a impieghi specifici dei medesimi sussidi (per quanto vaghe possano sembrare le formule utilizzate). Per esempio, le aziende sussidiande debbono impegnarsi a usare i fondi pubblici per attrarre «individui economicamente svantaggiati e favorire diversità, equità, inclusione e accessibilità», a fare piani «al fine di includere donne e altri individui economicamente svantaggiati nel settore edilizio», ad aprire asili nido e operare per «creare piani di selezione dei fornitori che favoriscano la partecipazione di piccole aziende guidate da minoranze, veterani o donne». Ezra Klein ritiene ciascuno di questi obiettivi più che commendevole. Ma si chiede pure: è questo il luogo giusto per confrontarsi con tali questioni? Se il problema sono i microchip, lo Stato non può concentrarsi, dal momento che ha attivato uno strumento specifico, su quello?

S’ode a sinistra uno squillo di tromba, a destra risponde un trombone. Oren Cass, il promotore di American Compass, centro studi dei repubblicani statalisti, sul Financial Times si è occupato della stessa questione. Anche Cass denuncia «una inverosimile serie di requisiti a carico delle aziende che sperano di approfittare dei sussidi». «Se un’azienda ritiene che l’offerta di asili nido sia essenziale al fine di assumere muratori e carpentieri, ha già la possibilità di farlo — nota, ma — imporre un mandato ad aziende che non ne ravvisano la necessità è in contrasto con l’obiettivo di rafforzare la competitività nel settore dei semiconduttori». Secondo Cass questi vincoli e prescrizioni rivelerebbero che l’amministrazione Biden in realtà non crede molto nella politica industriale, e si è subdolamente impegnata a sabotarla dall’interno. Diabolici!

Più ragionevolmente, ammette Klein: «Si potrebbe pensare che, quando viene alle prese con un problema di straordinaria importanza, lo Stato si avvalga del suo enorme potere al fine di eliminare gli ostacoli che si frappongono. Ma, troppo spesso, lo Stato fa l’esatto contrario: aggiunge altri obiettivi – molti dei quali certamente lodevoli – e così facendo non fa che accrescere gli ostacoli, le spese e i ritardi». Benvenuto sul pianeta terra.

Confrontandosi con gli economisti «vincolisti» che spingevano perché già nell’ottocento il nostro Paese diventasse uno Stato imprenditore, Francesco Ferrara scriveva che essi, lo Stato, «lo han preso come un ente reale; se lo figurano tal quale lo trovano dipinto in un trattato giuridico, in una qualsiasi filosofia del diritto e della storia; non san ricordarsi che tutto ciò è un ideale, un’aspirazione, una ipotesi, mentre nel mondo pratico lo Stato fu sempre e sempre sarà il governo, il gruppo degli uomini che comandano; i quali vanno pesati, non con le ineffabili virtù che all’ente ideale si attribuiscano, ma con gli errori, gli interessi, le passioni, indivisibili dall’essere umano».

E’ veramente curioso che siano i liberisti a essere regolarmente tacciati di ingenuità, quando i loro oppositori fondano tutti i loro argomenti sull’idea che viviamo in un mondo di diavoli governati da angeli. E si stupiscono quando la realtà s’incarica di incrinare questa certezza.

da L’Economia del Corriere della Sera, 24 aprile 2023

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